La psicologa risponde

Questa sezione è uno spazio in cui poter trovare alcuni spunti di riflessioni rispetto a domande inviatemi per mail. Chiunque può scrivermi una richiesta, curiosità o domanda, esporre una situazione.                                  


Sarò lieta di rispondervi.


Da Anna D. il 15.09.22, da Brescia.

Non sono sicura di voler iniziare un percorso.

Buongiorno dott.ssa la cerco per chiederle un'informazione riguardo ad una situazione che sto vivendo da qualche mese. Non sono sicura di voler intraprendere un percorso personale per questo le scrivo. Sono fidanzata da poco con un ragazzo molto più grande di me, ci siamo conosciuti in una serata in cui entrambi annoiati siamo scappati da una festa. Da subito sono state scintille e la chimica era favolosa. Solo che mi rendo conto che da quando ci frequentiamo io mi sono persa di vista sempre di più, ho lasciato molti hobby per stare più tempo con lui perché è l'unica cosa che mi rende felice. Solo da poche settimane la situazione ha preso una piega diversa. Ha iniziato a ridirmi su parole, dice che quando mi ha conosciuta non ero così, che sto diventando una fallita, che non valgo nulla. Non capisco se questo sia dipeso da me o se lui è cambiato, magari lo sto solo conoscendo adesso. Ho paura ad iniziare un percorso perché se poi il problema è lui, io non saprei mai come fare a lasciarlo. Grazie in anticipo.

Cara Anna, la ringrazio per la mail che mi ha scritto e comprendo il suo timore e la sua sofferenza. La situazione che ha descritto è più comune di quanto pensa e può dipendere certamente da diversi fattori, primo fra tutti una forma più o meno marcata di dipendenza affettiva. Naturalmente non posso sapere assolutamente se è il suo caso, ma le dinamiche messe in atto ci fanno riflettere su come lei abbia dedicato ogni centesimo di sé stessa a questa persona che al contrario ha reagito, da quanto lei descrive, con una forma di violenza verbale che la sta mettendo in disagio e la sentire preoccupata. Mi lasci rassicurarla che in alcun percorso terapeutico le sarà imposto di lasciare il partner qualora non sia lei in primis a volerlo fare. Quello che è possibile fare, invece, è lavorare sulle dinamiche relazioni che partono da noi stessi e che si mettono in moto quando entriamo in contatto con gli altri e ancor di più quando ci innamoriamo. Questo viaggio di scoperta la guiderà verso la scelta giusta per lei nella comprensione di ciò che davvero merita e di ciò che desidera nel modo più autentico.  Sperando di esserle stata minimamente d'aiuto le auguro di prendersi del tempo da dedicarsi.

Dott.ssa Federica Viola


Da Giulio N. il 23.09.22, da Napoli.

Cerco sicurezza e serenità e se ci sono non mi sento felice.

Buonasera, mi scuso per la domanda fatta per email, vorrei chiederle se è possibile domandarle come capire se poter vedere una situazione come problematica o meno e quindi da questo decidere se fare una psicoterapia individuale o meno. Sono un ragazzo di 28 anni, sono laureato e lavoro da pochi anni. Ho sempre avuto moltissime amicizie, tantissime opportunità di viaggio e divertimento e delle relazioni con delle ragazze che non hanno mai preso la piega di una relazione seria. Da un pò di tempo mi chiedo se forse non è il caso di sistemarmi e trovare una donna con cui condividere altre avventure e creare un progetto insieme. L'unico fattore discordante di questa decisione è che non trovo nessuno che mi prenda sul serio, allora mi "accontento" di persone ingamba, intelligenti, bellissime e carismatiche con cui esser sereno e sentirmi sicuro perché anche loro sono persone attive, motivate e indipendenti. Il tutto dura pochi mesi, nessuna litigata, nessun disaccordo, progetti e programmi, ma io non mi sento felice, non mi sento scoppiare il cuore, non so se mi spiego. La domanda è se questo è un problema sul quale si deve lavorare o meno, ho paura di essere infelice tutta la vita. La ringrazio e mi scuso per la richiesta lunga. 

Gentile Giulio, lei mi riporta una domanda fondamentale che comprendo appieno e la ringrazio per aver condiviso con me i suoi pensieri più intimi. Immagino la sensazione di confusione che prova nel non comprendere cosa c'è che non funziona. Mi lasci raccontarle un aneddoto che forse potrà aiutarla. Una donna bella, intelligente e potente era la regina di un popolo umile, ella era stimata, temuta e onorata da molte persone del suo villaggio. Tutti quanti la vedevano avere tutte le fortune che qualunque donna avrebbe voluto per sé e qualunque uomo avrebbe desiderato nella sua consorte. La regina ogni giorno mostrava tutto il suo splendore dinanzi al popolo e donava il suo ascolto e le sue proposte per venire incontro alle richieste che gli uomini del villaggio le chiedevano. Ogni giorno, quando finiva questi incontri si dirigeva nella sua stanza, si chiudeva le porte alle spalle e piangeva sola e senza alcuno che potesse abbracciarla, amarla e apprezzarla autenticamente. Le donne non volevano essere sue amiche, gli uomini alla fine non riuscivano ad avvicinarsi a lei, gli inservienti del castello la riconoscevano come padrona. Quanto la regina era fortunata?                        Ecco Giulio, mi perdoni se mi sono dilungata ma per poterle rispondere adeguatamente è necessario capire che per ognuno il concetto di felicità è qualcosa di diverso. C'è chi vede la felicità nel potere, chi nella bellezza, chi nell'intelligenza, chi nella ricchezza, chi nell'amore e così via. Quello che posso consigliarle è di non vedere la questione come un problema ma di riflettere su che cosa per lei è la felicità. Abbia pazienza e non si accontenti, se desidera sentire "il cuore scoppiare" è sulla buona strada per comprendere che adattarsi a situazioni sicure e serene senza un investimento emotivo autentico, travolgente e passionale non porta lontano. Se ha piacere di fare un percorso lo faccia per questo, non perché sia un problema voler essere felice, piuttosto capiamo come andarcela a prendere quella felicità. Augurandomi di aver almeno in parte risposto alla sua domanda le auguro buon proseguimento.

Dott.ssa Federica Viola 




Da Luca, il 28.09.22, da Perugia.

Quanto questo vuoto e tristezza sono normali?

Mi scuso per il disturbo, le volevo chiedere se è normale sentirsi tristi e soli in alcuni momenti più che in altri. Quando accade mi sento come se mi stesse crollando il mondo, avrei bisogno di sentirmi amato e abbracciato. Ho 22 anni e sono stato molti anni in una relazione in cui ho provato cosa significa essere innamorati. Da quando ci siamo lasciati, ormai un anno e mezzo, ho smesso di sentire quelle sensazioni, non riesco a trovare nessuno che sia veramente interessante e non so se questa cosa col tempo può procurarmi problemi, sono indipendente e sto molto bene solo, ma vorrei innamorarmi e per un ragazzo non è nemmeno semplice dirlo a voce alta. Sono una persona vivace, allegra e molto impegnata, ho degli amici ma attualmente io sono all'estero per studi e la malinconia associata al senso di solitudine cresce ancora di più. La ringrazio qualora riuscirà ad avere il tempo di rispondermi.

Caro Luca, comprendo la sua situazione e probabilmente chiunque di noi ha trascorso un periodo simile a quello che descrive. La sua storia, anche se brevemente accennata a sommi capi, mi dà la sensazione che questo per lei sia un momento di transizione, come lo possono essere i 22 anni, gli studi all'estero e la ricerca di un partner con cui condividere emozioni forti. Rispetto a quest'ultimo punto le sue parole mi fanno venire in mente il desiderio di un abbraccio, di quanto a volte necessitiamo di disperderci e ricostruirci in un caloroso e salutare abbraccio, il bisogno di un giovane uomo "indipendente e che sa stare bene solo" che vorrebbe condividere le sue giornate con un'altra persona con cui provare emozioni importanti e significanti. Non c'è assolutamente nulla di male in questo, la virilità è un concetto che ha impedito a molti uomini di sentirsi bene con le loro emozioni, di vivere con più autenticità e serenità la loro sensibilità e di poter esternare i sentimenti e gli affetti che li contraddistinguevano. Sia fiero di ciò che sta cercando e sicuramente arriverà quando sarà il momento giusto, magari metabolizzando bene la storia passata, magari facendo nuove conoscenze all'estero dove sta studiando, magari senza cercare capiterà e se ne accorgerà prima di quanto la sua mente non possa comprenderlo. Naturalmente se ha bisogno in futuro può sempre ricercarmi per un percorso, per adesso le auguro di godersi tutte le esperienze che può fare alla sua giovane età.

Dott.ssa Federica Viola


Da Sandro, il 01.10.22, da Castel Sant'Angelo

Ho sbagliato, voglio far rinnamorare mia moglie.

Buongiorno, grazie in anticipo per la sua cortese risposta. La cerco per un malessere di coppia che nasce con mia moglie dopo ventisette anni di matrimonio ( e 8 di fidanzamento ) a causa di una terza persona esterna al matrimonio che ha catturato la mia attenzione e il mio interesse. Questa conoscenza mi ha fatto "perdere la testa" mettendo mia moglie in secondo piano. Quando la situazione è stata scoperta da mia moglie, lei si è sentita crollare il mondo addosso e ha iniziato ad ignorarmi, non concedermi nessun contatto fisico, nemmeno una carezza e mi sembra che solo in quel momento, vedendola stare così male, ho capito quanto mi sentissi in colpa, quanto avessi sbagliato e quanto non volevo perderla. Parlando con lei e chiudendo definitivamente con l'altra persona, però, non c'è stato nessun recupero dell'equilibrio e del benessere matrimoniale, tanto che mia moglie parla di "assenza totale di fiducia e di non aver mai conosciuto la persona con cui ha condiviso la sua vita". Ho capito che ho fatto un danno irreparabile con mia moglie ma non mi perdonerei mai di aver rotto il mio matrimonio e di aver fatto soffrire l'unica persona con cui ho condiviso ogni singola cosa e che nonostante tutto è ancora accanto a me. La fatica di farla innamorare di me è tantissima, ma probabilmente non riuscirò solo, per questo le scrivo. Le invio queste prime osservazioni rinnovando i miei ringraziamenti per il tempo dedicato.

Buon pomeriggio Sandro, la ringrazio per la sua risposta e la fiducia offerta nell'intimo e delicato racconto che mi riporta. Comprendo la situazione e comprendo il disagio che ha causato una mancanza di equilibrio e di serenità che ha compromesso anche il benessere personale oltre a quello di coppia. Succede più spesso di quanto non possa immaginare, la monotonia dopo molti anni di relazione, gli impegni famigliari, i doveri coniugali, lo stress lavorativo, sono tutti fattori che ci fanno vedere in una terza persona esterna a tutte queste dinamiche, quasi un senso di libertà. Scappare talvolta, per qualcuno, sembra la scelta ottimale, per qualcun altro come lei invece è una possibilità per riconoscere l'amore che è rimasto sepolto da tutto questo ma che continua a persistere. Sicuramente questa situazione necessita di tempo e pazienza, e il lavoro potrebbe essere proprio quello di capire come ristabilire questo equilibrio, le emozioni negative che necessitano di spazio per poter essere accettate e elaborate, la rabbia ce probabilmente è ancora presente e che necessita di un contenitore per mentalizzarla e superarla. Può capitare in un matrimonio lungo che ci sia un momento trasformativo, un evento che destabilizza temporaneamente la coppia mettendola a dura prova, tuttavia potrebbe essere un'opportunità per potersi riconoscere adulti innamorati, coniugi affiatati e persone adulte ferite ma allo stesso modo guarite e perdonate.Sperando di esserle stata minimamente utile la ringrazio ancora.

Dott.ssa Federica Viola


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Lo psicologo risponde di Guida Psicologi.

Da Guida Psicologi, Giada, il 26.11.13

Ma perché le donne non reagiscono alla violenza?

Visto che è stata la giornata mondiale contro la violenza sulle donne e che per tutto il giorno si sono susseguiti racconti di donne che hanno subito violenze per mesi o anni, che si sono anche sposate pur avendo avuto delle avvisaglie che il compagno era un violento, io mi domando, ci sono dei segni che possono far capire se un uomo diverrà il tuo peggiore incubo? Quali?
E se li conosciamo, perché li ignoriamo?
Grazie

Gentile Giada,
la sua osservazione è limpida e chiara a netta differenza della risposta a questa domanda.
Le situazioni che possono tentare di spiegare la resistenza di una donna all'interno di un clima violento sono davvero infinite. Molto spesso anche noi clinici e operatori antiviolenza facciamo fatica a sviscerare le motivazioni, le cause e le spiegazioni interne, non sempre pienamente consce, della donna in questione.
Possiamo trovare situazioni in cui c'è il silenzio per la protezione di un figlio, perché magari ci sono delle minacce che tengono in pugno la donna. Potremmo ancora ipotizzare la donna sia innamorata del proprio aguzzino, spesso questo accade in dinamiche di dipendenza affettiva in cui relazioni eccessivamente tossiche prendono dinamiche violente. Potremmo trovarci dinanzi ad un famigliare (nonno, padre, fratello, cugino, zio...) e lei può solo immaginare cosa significherebbe denunciare un parente. C'è la vergogna e l'umiliazione o la sensazione che nessuno potrà capirti e aiutarti.
C'è il silenzio.
Quello che noi possiamo fare è sicuramente l'impegno e l'attenzione verso il tema, la partecipazione attiva ad un cambiamento che deve partire da ognuna di noi nel nostro piccolo, in ambito universitario, lavorativo, relazionale ... Le ricordo inoltre che la violenza non è solo penetrazione, esistono molti modi di fare violenza (violenza psicologica, economica, fisica, stalking, mobbing e via dicendo). Questo implica un altro grande problema: alcune volte la vittima non sa di essere tale fino a quando non è troppo tardi.
Quindi come vede no c'è una risposta al perché ignoriamo tutto ciò, a volte non possiamo saperlo finché non riusciamo ad avere un rapporto davvero confidenziale con le donne che finalmente incominciano a raccontare dettagli quotidiani che ci fanno sospettare qualcosa. Nel privato quelle che lei chiama avvisaglie sono segnali ma non tutti sono in grado di coglierli, tanto più se entrano in gioco fattori emozionali che alterano talvolta la nostra piena lucidità di ragionamento e razionalità.
Possiamo continuare a lottare assieme e se vuole approfondire il tema può iscriversi al gruppo gratuito di #progettodonna che trova sul mio sito web per ulteriori info.
Le auguro un buon proseguimento.


Dott.ssa Federica Viola


Da Guida Psicologi, Luca, il 13.01.20

Tristezza o depressione?

Buongiorno mi chiamo Luca ho 42 anni scrivo qui perché è la seconda volta che sto affrontando un periodo con forti stati non saprei definire se d'ansia o angoscia che mi affliggono quotidianamente, mi rendo conto di avere un umore a terra ma senza un apparente motivo mi sento quasi tutto il giorno triste dormo ma spesso sogno o faccio incubi cosa che non mi capitava mai, cerco di stare in mezzo a persone ma il mio umore non cambia anzi molte volte vorrei tornare a casa "come spesso sto facendo" vivo da solo.
Certe volte sento il bisogno di piangere molto raramente, molto spesso rinvio le cose che dovrei fare lavorative ma quello che non capisco è questa tristezza che mi affligge.

Gentile Luca,
mi sono imbattuta nella sua dichiarazione che comprendo essere dolorosa e limitante.
L'ansia, l'angoscia, la tristezza e la depressione sono tutte cose molto diverse fra loro, non certamente mutualmente escludentesi, ma differenti. Comprendere di cosa stiamo parlando, cercare di sviscerare tutti i nuclei tematici che lei porta, significa riuscire a dare non solo un nome, ma finalmente trovare un punto d'inizio per poter lavorare sulle possibili cause e sui tentativi di cura all'interno di un percorso.
Si ricordi anche che la durata, oltre alla frequenza, è un fattore fondamentale, in quanto possiamo anche concepire che un essere umano all'interno della sua esistenza, per svariati motivi personali, attraversi un periodo di transizione simile a quello che lei riporta.
Resto a disposizione augurandole un buon proseguo.

Dott.ssa Federica Viola


Da Guida Psicologi, Artemis, il 27.11.20

La solitudine può incatenare una vita?

Sono una ragazza di 27 anni, incapace di costruirmi un vissuto, legata al passato e timorosa del futuro.
Fin da piccola ho instaurato un attaccamento profondo verso mia madre, un legame che mi ha reso prima la figlia modello e poi la sua ombra. Un rapporto simbiotico senza capire dove finisse lei e iniziassi io, io non ci sono mai stata.
Dopo le superiori hanno deciso per problemi economici di fermare i miei studi ( l'unica cosa che credo saper fare è apprendere) e con quella decisione hanno chiuso tutte le porte di comunicazioni tra me e il mondo esterno.
Ho perso ogni contatto con gli amici, con gli altri e sono finita a prendermi cura di cani, gatti, galline e persone che urlano invece di parlare e parlano invece di ascoltare. Ho provato ad uscire da tutto questo, ho cambiato tutto di me per essere accettata dagli altri, perché in me è scattato il bisogno di conferme, di accertare a me stessa e agli altri che esisto e non sono trasparente.
E questi altri che hanno un ruolo così importante ed essenziale nella mia vita così tanto da portarmi ad annullare le mie vere fattezze umane: anoressia, bulimia, sport intenso. E il costante bisogno della presenza di mia madre, del saperla compiaciuta del mio operato a casa: pulizie, pulizie e ancora pulizie. Non c'è stato altro.Mai.
Ho dimenticato il profumo del mare, e il rumore di una sana e liberatoria risata.
Sembra quasi un film horror ambientato nel medioevo ma io lo vivo ogni giorno e mi vergogno certe volte altre volte penso che la famiglia non te la scegli,purtroppo.
Un legame, quello con mia madre, che mi uccide giorno dopo giorno togliendomi la facoltà di agire e vivere come si dovrebbe vivere a 27 anni, anche se non so bene come si viva rinchiusa dentro le mura di una casa.E poi quel senso di colpa perenne che mi schiaccia come una blatta su un vetro, mi fa sentire così piccola di fronte la grandezza di un'abbandono.La paura della solitudine, di non avere più al mio fianco la donna che per me rappresenta tutto, perché non c'è altro a cui potermi aggrappare, perché da quattro anni vivo con la costante paura che mia madre abbia un infarto e muoia.
Perché proprio un infarto?
Fattore ereditario.
Perché da quattro anni?
Perché una notte mi sono svegliata nel cuore della notte e lei stava male, non si è mai accertato un collegamento al cuore per quel malessere ma da quella notte io possiamo dire che ho smesso di dormire per molto tempo, ho smesso di vivere come mediocremente vivevo, ho persino smesso di ascoltare la musica con la paura di non sentire una sua possibile richiesta d'aiuto.
Da quel giorno ho iniziato a percorrere un tunnel senza via d'uscita che mi ha portato a rimanere inerme di fronte la possibilità mai appurata di una sua possibile crisi.Me ne sto ferma, ancora oggi, a vedere scorrere il tempo, inerme, incapace di fare qualsiasi cosa, solo quella dannata paura di restare da sola più sola di quanto già non sia.Anche adesso come allora cerco di uscire fuori da questo facendo l'unica cosa che so fare e cioè studiare per magari trovare un lavoro e allontanarmi da tutto questo ma credo di aver bisogno di un aiuto concreto adesso più che mai.
Scusate per il disturbo ma avevo bisogno di esternare il mio problema.
Buona serata e grazie dell'attenzione.


Gentile Artemis, la ringrazio per aver esposto così accuratamente una situazione che posso solo immaginare quanta sofferenza e limitazioni le dia.
Ha ragione nel dire che la famiglia non la scegliamo, è vero anche, al medesimo tempo, che si può imparare a convivere nel rispetto della propria persona e degli altri componenti, dei ruoli e dei confini prestabiliti.
Qualora questo confine non fosse rispettato si può presentare una situazione da lei raccontata in cui c'è co-fusione e confusione. Il fatto che abbia espresso con molta chiarezza i suoi desideri e abbia compreso che la la relazione con la madre è divenuta limitante, castrante e ansiogena, ha fatto un primo grande passo verso il cambiamento.
C'è certamente da lavorare sul come riconoscere la propria identità, riscoprire il piacere della sua età, assaporare la sensazione di libertà e autonomia che desidera e tollerare la solitudine fino a poterla vedere come un'alleata.
Il tempo per stare soli con noi stessi è quanto di più prezioso possiamo ricevere se utilizzato con gratitudine e consapevolezza.
La paura che ha adesso rispetto al fatto che sua madre possa morire d'infarto è forse una rappresentazione di come vorrebbe allontanarsi da lei ma ha paura di farla morire dentro di sè. Si può imparare nel corso del tempo e in un adeguato percorso psicoterapeutico a focalizzare l'amore e i desideri interni più autentici, l'amore che proviamo per noi fa si che impariamo a porre confini e limiti da on valicare. In un primo momento potrebbe sembrarle che sia allontanando o non amando l'altra persona (in questo caso specifico la madre) in realtà le sta permettendo di amarla di più, in modo più sincero, trasparente, un pò come quando ci si allontana da un oggetto troppo vicino per metterlo meglio a fuoco.
In questo modo si passa dalla co-fusione e confusione ad un percorso di autenticità e sincero e sereno amore.
Augurandomi che lei possa far amicizia con questa solitudine sua alleata, resto a sua disposizione.

Dott.ssa Federica Viola


Da Guida Psicologi, Anna, il 31.01.22

E' una forma di violenza psicologica?

Convivo con il mio compagno da quasi sei anni, inizialmente non avevo compreso qualcosa che tutti avevano visto prima di me.
Avevo notato che non aveva molti amici e che nutriva moltissime antipatie ma mi ero innamorata follemente, all'università, già dopo averlo sentito parlare un solo minuto dei sui due anni di volontariato nelle case famiglia messicane.
Dopo 6 anni di università iniziamo a convivere a circa un anno dalla laurea. Alcuni suoi comportamenti risultano fin da subito estremamente fuori dalle righe: dorme intere giornate, e passa le nottate sveglio a fumare erba. Durante le prime settimane di convivenza è sempre di buon umore, anche se di fatti privo di attenzioni nei miei confronti, comunque molto concentrato su "noi".
Il primo episodio di quella che non so se riconoscere come una "violenza psicologica", una mattina, come un fulmine a ciel sereno: lo sveglio ma non mi rivolge la parola e mi risponde in maniera scostante e distaccata, ovviamente dice che "non c'è niente", manda a monte tutti i piano della giornata, sia lo studio che un colloquio di lavoro! dopo ore mi urla che era arrabbiato perchè durante la notte non aveva potuto fumare poichè avevo nascosto la sua erba. io non fumo e lui stesso la sera prima mi aveva incaricato di farlo per cercare di fumare meno. Da qui mi trovo sempre più spesso a subire lunghissimi silenzi e accuse continue per qualsiasi stupidaggine: ho buttato uno scontrino di troppo o ho cucinato troppo o troppo poco oppure "non mi sta mai bene quel che dice", lo sveglio troppo presto, troppo tardi o addirittura con troppo caffè a letto. cerco di essere sempre più accondiscendente tanto che arriva ad innervosirsi proprio perchè sono troppo accondiscendente. se la prende con il mio cane, lo picchia perchè non è abbastanza educato; per tutelarlo lo porto dai miei. i miei amici sono tutti troppo stupidi o antipatici e non vuole frequentarli, non debbo frequentarli nemmeno io altrimenti debbo sorbire ripicche ed ore di silenzi o accuse; lui amici non ne ha.
Mi vergogno e non voglio che i miei amici o i miei parenti capiscano in che tipo di rapporto mi sono infilata. lasciarlo non viene considerata un'opzione: sto male quando mi tratta con distacco. alle settimane di malessere seguono sempre alcuni giorni di grande felicità, scuse e tanti propositi. la laurea sembra sempre più lontana lui ha sauperato i 30, io i 24, non lavoriamo, svolgo il servizio civile, lui cerca di farmi lasciare e mi rende impossibile partecipare a qualsiasi evento fuori dall'orario di lavoro standard. ci laureiamo, alla festa della mia laurea si innervosisce, si rompe una mano e debbo portarlo al pronto soccorso. mio padre, all'oscuro della vera personalità del mio compagno ci regala una casetta ed un piccolo pezzo di terra con l'auspicio di avviare la nosatra azienda agricola. lui non lavora, ma spende moltissimi soldi, io mi iscrivo in magistrale e cerco di svolgere lavoretti a poggetto e piccole coltivazioni destinate alla vendita. se gli trovo qualche lavoro rifiuta o litiga con i superiori nel giro di pochi giorni. non ho mai ricevuto un regalo di compleanno tranne lo scorso anno quando mi ha preso una vaschetta di gelato.
Nasce la nostra bambina, arriva tardi in ospedale per essermi accanto in quel delicato momento, colpa del covid, forse.
Da quando c'è la piccolina inizio a rispondere, non voglio che anche lei debba subire questi continui malumori, nè che abbia come esempio tanta rabbia e insofferenza nei confronti degli altri o, anche peggio, una madre che non sa farsi valere, ma i litigi peggiorano fino a durare intere settimane. Raramente passa del tempo con la bambina, comunque non lavora, da mesi non le cambia un pannolone e solo una volta per un'oretta mi ha aiutato durante la notte. mi scoraggia nell'allattamento al seno, insiste perchè io non vada a lavorare e davanti agli altri mi fa pasare per iperprotettiva troppo attaccata alla bambina.
E' questa una forma di violenza psicologica?
Aggiungo che è emerso che da adolescente aveva ricevuto una diagnosi di ADHD e che non ha mai portato a termine la terapia che aveva iniziato a seguire.

Gentile Anna,
mi dispiace che lei non abbia avuto alcuna forma di riscontro in questi mesi, sopratutto valutando la sua delicata, intima e importante domanda. Mi sono imbattuta nella sua dichiarazione che mi ha colpito vividamente.
Comprendo la sua sofferenza e immagino il timore che adesso ha anche per la piccola. Per tutelare la figlia dal contesto alterato in cui si trova sarebbe necessario che si facesse aiutare da qualcuno o quantomeno parlare con CAV della sua zona in modo da valutare la situazione nello specifico, i potenziali rischi e le varie opportunità.
Lei mi dà l'impressione di una donna con moltissime risorse e tantissima voglia, ma tante volte questo non basta. Quello che manca è un autentico amore verso noi stesse, la possibilità di ergere confini di consenso, rispetto e dignità in cui sentirci protette e lasciare fuori chiunque lo valichi.
So che è un percorso lungo, intenso e doloroso, che probabilmente, come ha anticipato, non riesce a stare lontana da lui perché si sente mancar d'aria e quando si avvicina sentiamo di poter toccare il cielo anche se sono solo briciole.
Le faccio una domanda Anna, lei cosa pensa di meritare? Delle briciole o una bella pagnotta di pane appena uscita dal forno?
la risposta che si darà le darà la possibilità di ragionare sul da farsi e le farà capire se è pronta a fare qualche passo verso la liberazione di questa situazione in cui si è "infilata".Si ricordi di non allontanarsi dalle persone che la amano, loro possono aiutarla e proteggerla, non si isoli perché è quello che lui vuole. Essere soli ci rende più vulnerabili, ci rende più soli, alimenta il vuoto dentro noi e diventa una voragine di segreti e paure.
Non sarà giudicata da chi la ama e da chi vuole aiutarla, non sarà giudicata o forzata in alcun modo ad alcuna scelta se si rivolgerà a qualcuno per iniziare un percorso di aiuto.Nel caso dovesse sentirsela può partecipare ai gruppi gratuiti di #progettodonna, può trovare tutte le info nel mio sito web, le potrebbe giovare come opportunità.Se non lo ha fatto per lei, può adesso farlo per lei e per la sua bambina. Per rispondere alla sua domanda: quello che descrive è certamente una forma di violenza psicologica, la situazione ribadisco che dovrebbe essere comunque vista nello specifico.
Io le auguro un futuro pieno di indipendenza, autonomia, amore sano e pagnotte di pane appena sfornate.Resto a sua disposizione.

Dott.ssa Federica Viola


Da Guida Psicologi, Angela, il 24.03.23

Due amiche dallo stesso psicologo

Gentili Dottori, esiste una norma deontologica che vieti agli psicologi di prendere in carico 2 amiche?
Due anni fa ho iniziato la psicoterapia con Serena, una professionista con la quale mi sono trovata da subito bene.
Roberta, mia collega dell'università, molto paranoica, insicura e complessata, mi ha detto di stare molto male per l'ex ragazzo, e allora, ingenuamente, le ho consigliato di farsi una chiacchierata con la mia psicologa, visto che io avevo ottenuto buoni risultati.
Serena, quando le ho chiesto se potevo dare il suo numero a una mia collega, mi ha detto che non c'erano problemi.
Appena Roberta inizia le sedute di psicoterapia, mi ha raccontato che capitava spesso di parlare di me e del rapporto che aveva con me. Già da questo momento, ho iniziato a irrigidirmi e a non vedere più la psicologa come qualcuno che stesse facendo i miei interessi, perché davo per scontato che non si dovesse parlare di me, e dei miei comportamenti, visto che anche io ero sua paziente.
Vista la pesantezza della mia collega Roberta, ho iniziato a prendere le distanze da lei, e quando lo avevo raccontato a Serena, mi era sembrato che mi avesse quasi sgridato dicendomi che mi sarei fatta piazza pulita, e da questo momento decido di non parlare più di questa persona.
Passano 5 mesi, risento la mia collega Roberta, e mi dice di esserci rimasta male perché mi ero allontanata e che più volte aveva parlato di questo a Serena.
Decido di dire a Serena che non mi stava bene che avessero spesso parlato di me, che non la vedevo più neutrale ma di parte, che ero a disagio nel parlare delle mie cose, sapendo che poi arrivava quella e parlavano di me. La psicologa mi risponde che non poteva impedire a Roberta di parlare di ciò che voleva, che in ogni caso non aveva violato il segreto professionale e che mi dava fastidio perché avevo paura del giudizio altrui. Inutile dirvi che me ne sono andata e non ci ho più voluto mettere piede. Vi chiedo: ma sono davvero io il problema, o era legittimo che mi desse fastidio che la mia psicologa parlasse di me con altri pazienti? La colpa è mia che ho paura del giudizio, o forse è Serena che mi doveva avvertire che sarebbe potuto succedere?
Grazie.

Buongiorno Angela,
di norma dipende da tipo di rapporto che c'è tra le due persone, se sono conoscenti è possibile lavorare, se sono amiche è più a discrezione di un buon professionista non inquinare il setting.
In questi casi è dovere dello psicologo valutare, di volta in volta, l'opportunità o meno di una consulenza psicologica e di una eventuale presa in carico, sulla base di considerazioni cliniche, etiche e deontologiche.
Resta saldo, comunque, l'obbligo per lo psicologo al segreto professionale, grazie a cui, di fronte all'eventuale conoscenza intercorsa tra uno o più suoi pazienti, "nessuna informazione riferita in colloquio psicologico uscirà fuori dalla porta dello studio psicologico".
Mi dispiace di questa esperienza fastidiosa e imagino limitante. La terapia è uno spazio privato, sicuro e protetto da potenziali pericoli, la tutela del segreto pur avvenendo correttamente deve anche garantire una neutralità del professionista rispetto agli ambiti di vita del paziente senza interferenze esterne di alcun tipo.
Spero di averle risposto.Dr.ssa Federica Viola


Da Guida Psicologi, Fede, il 23.09,22

Perché non riesco a trovare la persona giusta?

Ciao.
Perché dopo aver frequentato già dei ragazzi, non sono riuscita ancora a trovare qualcuno che mi apprezzi per ciò che sono? È una domanda che mi turba dentro di me... non voglio rimanere single a vita, per carità tempo al tempo, ma vorrei anch'io vivere una relazione felice con qualcuno che veramente mi apprezzi.

Gentile Fede,
le relazioni interpersonali sono certamente gli aspetti più complessi della nostra intera esistenza, ci mettono non solo davanti agli altri, ma anche a noi stessi. Per questo è molto importante che prima di riuscire a trovare qualcuno con cui star bene, noi riuscissimo a trovare noi stessi in un percorso che le permetta di apprezzare il tempo che lei trascorre con se stessa, gli spazi di solitudine che possono essere ricchi di sorprese bellissime e successivamente di capire cosa davvero desidera, cosa le piace, cosa pensa di meritare, cosa proprio non potrebbe accettare.
Per essere amati e amare abbiamo prima bisogno di imparare ad amarci profondamente e autenticamente, altrimenti rischiamo di rispecchiarci in qualsiasi persona che incontriamo e confonderci nelle varie relazioni che si susseguono. In questo modo si potrebbe creare una lunga lista di sconfitte e persone non adatte a lei che la fanno sentire "sbagliata" e non apprezzata.
Augurandomi che lei possa riscoprirsi e comprendere bene cosa vuole da una relazione, le auguro buon proseguimento e resto a sua disposizione.

Dott.ssa Federica Viola


Da U. il 31.03.23, da Guida Psicologi

Ansia nei rapporti e paura di subire violenze

Salve a tutti, da ormai qualche mese forti paure e ansia di subire violenze sessuale stanno danneggiando il mio modo di vedere la vita. Mi spiego meglio, sono fidanzata da qualche anno con un ragazzo normale e tranquillo e per molto tempo la nostra vita sessuale non ha avuto problemi ma anzi è sempre stata tranquilla. Io sono sempre stata legata a quelle vicende o racconti di violenza che interessano tante donne ogni giorno ma ultimamente passo quasi tutti i giorni a cercare appositamente video o articoli che parlano di queste tematiche e leggere le storie più brutte fino a caricarmi d'ansia in maniera esagerata. Questa ansia e fobia si sta trasportando anche nella mia relazione. Infatti, per ogni piccolo episodio diverso dal solito che ho a letto col mio ragazzo vado in panico e ho subito paura che possa succedere qualcosa di brutto quando in realtà so che non succederebbe, soprattutto col mio ragazzo, che poi mi rassicura. Per esempio ho vissuto poco fa un episodio in cui, durante un rapporto, il mio ragazzo ha spostato la sua gamba durante una posizione e siccome spostando la gamba era diventata una posizione un po' fastidiosa gli ho chiesto di "levarsi in quel modo". Lui ha spostato la gamba senza uscire completamente da me poiché, siccome fino ad un minuto prima stava andando tutto bene, ha compreso di dover levare solo la gamba piuttosto che tutto poiché con quella stessa posizione qualche secondo prima non c'erano stati effettivi priboemi, ma io in realtà volevo che uscisse completamente per cui, nel momento in cui ho visto che si è spostato senza uscire, mi sono impanicata molto e solo dopo averlo ripetuto un'altra volta il mio ragazzo ha capito cosa volevo che facesse e si è tolto completamente. Ad esempio quell episodio dentro di me non è grave perché so che durante la foga possono esserci incomprensioni che si risolvono subito ma comunque è salita una forte ansia come se avessi paura che non si volesse levare e continuare il rapporto quando so che lui non è il tipo, inoltre io non lo avevo specificato bene ma gli avevo piuttosto fatto capire di dover levare soprattutto la gamba. Per esempio, voi come valutate un episodio del genere? Nella mia reazione è l'ansia che parla oppure ho anche ragione? Non riesco a vivermi nulla normalmente eppure non ho mai subito (per fortuna) episodi di violenza più o meno gravi nella mia vita, sto vivendo tutto con molta ansia.

Buonasera, mi dispiace molto che non abbia ricevuto risposta alcuna in tutti questi mesi.
Ciò che ha riportato può essere decretato da diversi fattori non ipotizzabili da un racconto, per quanto dettagliato.
Le consiglio la possibilità, se ancora persiste il problema e ancora si trova sola ad affrontarlo, di poter parlare con un esperto della salute psicologica che si occupa della tematica.
Questo passaggio le permetterà di sviscerare le cause fondanti questi stati fobici ansiosi e comprenderne la natura per poter intervenire a trecentosessanta gradi sull'angoscia che riporta.
Augurandomi che abbia trovato un riscontro positivo in questi mesi le auguro un buon proseguimento.

Dr.ssa Federica Viola


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