La possibilità di declinarsi attraverso l'amore: un approccio fenomenologico della terapia con pazienti schizofrenici

20.10.2021

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta inizia a comparire sul panorama teorico la parola intersoggettività anche in ambito psicoanalitico, grazie ad autori come Khout, H., Benjamin, J., Mitchell, S. Garfield, D.A.S., eccetera. La svolta relazionale all'interno dell'approccio psicoanalitico ha determinato un cambiamento di paradigma nella prassi psicoanalitica, non solo nella teoria. Il paziente non è più osservato da uno schermo neutrale (concezione della psicoanalisi classica secondo la quale l'analista non deve far trapelare alcuna emozione) ma nella cura è il terapeuta stesso che si mette in gioco e ha una parte attiva all'interno di una relazione diadica, in un continuo processo di co-costruzione. Negli anni si è sviluppata quella che è tutt'ora definita come psicoanalisi interpersonale - umanistica o psicoanalisi intersoggettiva. Questa descrizione si ispira anche a quella che è stata chiamata psicopatologia affettiva; affettività che riprende vigore e forza terapeutica dopo essere stata spogliata da un eccessivo intellettualismo del passato, non solo dalla psichiatria, ma anche dalla stessa psicologia. 

Ciò che oggi vorrei sviluppare è l'importanza della capacità contenitiva ed emotivamente accogliente del terapeuta nei confronti del paziente con sofferenza schizofrenica, accoglimento come massima espressione di amore e amore come massima espressione di cura e di come questi elementi possano scaturire un più profondo inquadramento della sofferenza mentale, che dia vita alla poetica dell'incontro grazie alla possibilità di restituire l'umano all'umano, in una continua generatività dell'essere. Generare significa creare qualcosa, formarla, darle vita. In questo caso con generatività intendiamo la generatività dell'essere, cioè la possibilità dell'ente, della persona sofferente di poter rintracciare sé stessa. La nascita dell'essere è data dall'unione di due persone: la nascita vera e propria avviene grazie ad un padre e ad una madre. In questo caso, invece, paziente e terapeuta generano l'essere dall'incontro. Sono necessarie sempre due persone per dare la vita; quella psichica si generare all'interno dell'incontro psicoterapeutico è costituisce le fondamenta del nuovo essere.

L'amore è paradossalmente l'argomento più semplice e più complesso in assoluto, è spesso banalizzato come sentimento o riferito essenzialmente a relazioni intime o familiari. L'assenza di amore e il suo ardente desiderio, però, sono anche l'elemento centrale, il nocciolo, per il quale i pazienti si trovano in cura, tanto più quando coglie l'infinito bisogno e l'immensa paura di queste persone di potersi lasciar andare all'amore, un sentimento che molto probabilmente possono non aver mai esperito in maniera autentica e la terapia ne diviene opportunità.

Le interrelazioni umane costituiscono il fondamento della vita di ciascun essere umano e si sviluppano primariamente in una dimensione di comunicazione non verbale di emozioni. Quello della persona curante è un lavoro vivo, di sintonizzazione, dove entrambe le parti esercitano una pressione, non intrusiva ma di contatto, di comunione autentica di due esistenze.

Questa comunione è soggettiva senza alcuna replica, senza alcun metodo prestabilito; facendosi accompagnare dalla soggettività dell'altro e dalla propria, che assieme, generano un connubio unico e solo. Il dialogo carico di affettività è il generatore di tale esperienza, nel dialogo accade qualcosa di intimo e ciò che si genera da esso non è né mio né dell'altro, è qualcosa che trascende l'unione degli interlocutori.   L'immaginativo è ciò che offre il paziente nell'incontro, il simbolico è ciò che offre l'analista per trasformare il primo nel secondo. È necessario lavorare in una dimensione affettiva presente che non riesce ancora a tradursi in maniera simbolica, l'irrappresentabilità iniziale del paziente schizofrenico rimane in una dimensione concreta e descrittiva, da decifrare attraverso un'analisi esistenziale del vissuto nel significato latente. Questo è preordinale rispetto ad ogni linguaggio e spesso il fondamento dei problemi è questo: non capirsi, antecedentemente al capire stesso. 

Ciò che il terapeuta è chiamato a fare è diminuire questa distanza interumana e trasformarla in una poetica, in una dolce e malinconica, talvolta struggente, poesia di sottofondo che come una trama di un libro segna tutto il percorso all'interno di esso. Nell'incontro, il paziente non si confronta direttamente con la cura e lo abbiamo detto prima, questa è successiva ad un altro elemento che viene trasmesso primariamente: la libertà (abbiamo già parlato dell'educazione alla possibilità) e Galimberti in questo caso asserisce: "l'uomo si concede allo svelamento dell'ente quando lo lascia essere (Sein-lassen) per quello che è". (Galimberti, 2017, p.340).

In questo caso la libertà nel senso di lasciare - essere, lascia a- cadere e lasciare l'essere nella libertà di essere, l'asciare all'ente la possibilità di a-cadere; lì si nasconde, se nell'incontro la si riesce a scovare, l'essenza della verità (a-létheia) un non nascondersi (Un - verborgenheit) più dal mondo e dalla propria prigione. Si attua un disvelamento dell'essenza schizofrenica. In questo caso la persona con sofferenza schizofrenica ha il diritto di far emergere i suoi sentimenti nel modo in cui preferisce e attraverso il percorso psicoterapeutico si imparerà assieme a dare nome, significato, forma e consistenza a queste emozioni. Non è vero che gli schizofrenici sono anaffettivi, non è vero che non provano emozioni perché sono fuori dal mondo, anzi, i suoi impulsi, i suoi bisogni emotivi, le spinte affettive sono di immensa forza; solo quello che accade è un inceppamento, non riesce ad estricarli e questo per le difficoltà con le figure oggettuali primarie, gli avverte come qualcosa di pericoloso, inquietante e colpevole. 

All'interno della relazione diadica terapeutica è necessario ristabilire quel contatto primigenio in cui la comunicazione coincide esattamente con l'emozione; i suoni tra madre e figlio, gli sguardi, le carezze, il nutrimento, il senso di contenimento (Garfield, 1995). Ciò che è stato il tentativo di questa argomentazione risiede in anni di domande senza risposta alcuna fino a quando piano piano germogliava in me e si alimentava come un fuoco vivo, il desiderio di comprendere la schizofrenia nella sua più vera essenza, un lavoro che dura una intera esistenza. Intanto, questo percorso ci ha condotto a riflettere su un elemento essenziale: l'esperienza della psicosi schizofrenica è intrisa di un potenziale di conoscenza ancora in gran parte inesplorato e che il lavoro con i pazienti schizofrenici è un vero e proprio lavoro di rinascita. Nel processo di creazione, si genera un essere libero dalla sofferenza mentale, libero dalla stigmatizzazione e dalla coercizione sociale e medica, si riscopre umano dinanzi al suo simile. Il paziente comprende che in lui non c'è difetto, ma vulnerabilità. Sulla prima non si può lavorare, sulla seconda si possono costruire grandi strutture.

Nel processo di generatività si ridà libertà e possibilità al paziente, che come abbiamo visto sono due fattori antecedenti alla diagnosi o al trattamento clinico. La riflessione, prima ancora della possibile comprensione di questo potenziale, risulta rilevante non solo per l'ambito medico e quello psicologico, ma soprattutto per un capovolgimento del pregiudizio umano verso la malattia mentale.

La ricerca dell'amore, come di qualunque altro desiderio che si cela nell'inconscio, richiede uno sforzo particolare: lasciar fuori, abbandonare, smontare i condizionamenti e i conformismi che reprimono la libertà individuale, la libertà di poter essere è lo strumento primario con cui curare.

 

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