Pandemia COVID-19: Uno spunto di riflessione psicosociologico 

09.09.2022

Un fattore messo in evidenza dai clinici che si sono occupati in questi anni degli effetti della pandemia è la paura: essa si concretizza in una comunione, un'identificazione rispetto ad un panico collettivo in cui il desiderio di sicurezza è il bisogno fondamentale dell'uomo contemporaneo. 

Un viaggio nel concetto di responsabilità e di responsabilità del coraggio come fautore della trasformazione in atto e del travestimento di una società in continuo mutamento e del suo spogliarla di una complessità indicibile. Lo svisceramento dei pilastri portanti della nostra realtà: lo Stato che dovrebbe proteggere, il Governo che dovrebbe guidare, la Sanità che dovrebbe curare, l'economia che dovrebbe sostenere e la massa che dovrebbe sorvegliare proattivamente il funzionamento di questo delicatissimo corpo da tempo deturpato.

Il riferimento a "Psicologie delle masse" (1921) di Freud bisogna parlare con le masse rispettando la sua caratteristica di "eccesso e di incoerenza", la massa è indistinta e per potersi confrontare con essa è necessario prima di ogni cosa riconoscere i meccanismi psicologici attivati nel gruppo in questione. In modo specifico Freud parlava di un' "entità provvisoria, costituita da elementi eterogenei saldati assieme per un istante" e in questo specifico passo lo psicoanalista fa riferimento alle teorie di Le Bon, il quale parlava del "contagio mentale delle masse" e di come anche la dimensione emotiva prenda dimensioni talvolta smisurate ed eccessive quando ampiamente vissute in comunione. L'individuo, infatti, secondo Le Bon individua un nemico comune (in questo caso il virus) per scatenare il meccanismo di attacco - fuga per attaccare e difendersi, perdendo "gradi nella scala della civiltà" come ad esempio è successo nei confronti della Cina e di come ogni suo connazionale fosse ferocemente attaccato e aggredito. Il panico si trasmette per contagio, nel nostro caso un contagio reale ed un contagio psichico.

Bion parlava di gruppo attacco- fuga e di soggetti che inseriti all'interno di un gruppo (in questo caso un macro gruppo è la società) utilizzano meccanismi mentali primitivi. Questo si lega al processo di deresponsabilizzazione e mancanza di azione del singolo che delega ad altrui il proprio dovere. Inoltre il gruppo non essendo ancora ben definito con confini esterni netti e chiari (la "pelle psichica del gruppo" veniva chiamata da Bion) viene meno l'organizzazione interna; questa situazione si è presentata durante l'espansione dell'epidemia in Italia, dove l'allarme e il panico generalizzato hanno dato vita a forme di ostracismo degli stessi concittadini (per esempio meridionali che volevano far rimanere al nord i propri conterranei del Sud - Italia assumendo toni talvolta violenti, forme di razzismo iniziale verso gli asiatici che ha dato vita al movimento #StopAsianHate e successivamente discriminazione e aggressività nei confronti di coloro che hanno deciso di non vaccinarsi.).

Quando parliamo di desiderio di sicurezza ricordiamo l assunto di base della dipendenza bioniana: eleggere un capo per soddisfare questo bisogno emotivo arcaico. Il gruppo si muove in modo che questo capo sia eletto per proteggerli, cosa che ad esempio non sta facendo lo Stato italiano perché dietro la finta protezione si cela il bisogno di elargire panico iniziale e paura, terrore psicologico delle prime immagini (basti pensare al terrorismo delle immagini condivise dai media e dalle testate dei giornali o le pubblicità che obbligano ad un reggimento di comportamento senza via di uscita). siamo in una situazione storica e politica di grande dimensioni trasformative che inevitabilmente hanno un impatto più o meno diretto, più o meno consapevole nelle nostre vite.


Allora cosa fare?

Il coraggio è la risposta, ma l'uomo non vuole guardare, osservare, pensare e scegliere con coerenza ed è proprio questa la vera resistenza dell'uomo che lo porta all'annichilamento, alla morte (psichica) alla sottomissione totale della "grande macchina" e che allontana gli uni dagli altri, perché se il coraggio unisce, l'adorazione allontana essendo quest'ultima rivolta ad una sola persona o per qualcosa di più grande dove i simili si disperdono. Inoltre il coraggio è collegato anche al fatto di non lasciarsi andare passivamente alla depressione, che ci fa perdere il controllo e "aiuta" anche il virus  andando incontro ad un abbassamento delle difese immunitarie, verrebbe da dire fisiche e psichiche. Coraggio però anche di fermarsi, di vedere la propria limitatezza, la propria vulnerabilità più intima, il coraggio di stare nell'insicurezza, il coraggio di affrontare la morte, la propria caducità, di un corpo che può essere attaccato e di una psiche che può avvertire malessere prima occultato da giornate frenetiche perdendo di vista la

realtà.

Ma in una situazione come questa la realtà viene persa di vista ancora in modo più evidente. Il coraggio allora di rimettersi in gioco di nuovo, un coraggio visto come lotta a partire da noi stessi come singoli individui adagiati nel tempo e via via una coraggio collettivo e quindi un risveglio di coscienza collettivo in risposta ad una stagnazione psicofisica permanente. Comprendere che effetto ha avuto la pandemia nella nostra vita, riuscire ad osservare come i bambini non hanno mai conosciuto "la normalità", l'impatto sui malati, sugli adolescenti ...

Differenza fra emergenza e pericolo?

L'emergenza attuale o quella che avverrà dopo? La situazione continua a modificarsi ora per ora, passando da emergenza ad emergenza, dall'emergenza sanitaria a quella politica, all'emergenza economica e poi ancora l'emergenza climatica, l'emergenza di un capitalismo al collasso che strumentalizza i soggetti in funzione del contesto sociale di riferimento (vediamo i media, i social e via dicendo). Lo stato non è più in grado di " offrire ai suoi allievi, al contrario dei suoi predecessori, un futuro pieno di promesse" riprendendo la frase di Benasayang in "Le passioni tristi".

In Psicoanalisi della società contemporanea, Fromm applica lo studio di variabili socio- economiche alle teorie freudiane, facendo risaltare l'aspetto di passività dell'uomo di oggi dinanzi alla drastica situazione dell'intera società contemporanea. Se la società (che è il contenitore) è ammalta ergo l'individuo rischia di essere ammalato. Il "socialismo umanistico" di Fromm vede la realizzazione, e la guarigione, di un mondo malato e di una terra arida e defertilizzata dall'alienazione dell'uomo nei confronti della vita e dalla sua continua fuga dalla libertà (titolo anche ripreso da Fromm nel 1941).

In "Cronaca della psicodeflazione" Franco Berardi mette in evidenza la scissione corpo - mente: è il corpo della terra che sta parlando quando la psiche che è l'aspetto cognitivo dell'uomo viene meno. Noi come prolungamento del corpo della Terra somatizziamo i disagi del mondo, connessi con madre terra. Allora cosa stiamo facendo se non lottare con la cause stessa che ha generato questo ammalarsi? Nonostante tutto emerge, però, una speranza che possa far scaturire dalla morte una rinascita. Ma l'uomo ha paura del silenzio che pervade la morte e quindi c'è la necessità di affrontarla per farne scaturire la consapevolezza che porta alla rinascita. Tuttavia per rinascere, psichicamente e socialmente, è necessario anzitutto essere uomini liberi!

Di cosa parliamo quando parliamo di libertà? Siamo davvero liberi?

Questa situazione mette in evidenza dogmi sempre evitati e domande rimaste sempre senza risposta. L'epidemia "mette in evidenza le fragilità del neoliberismo", è un momento in cui emergono le domande fondamenti che ci vedono, dovrebbero vederci meglio ancora, come agenti attivi e proattivi nei confronti di noi stessi e di chi ci governa, invece siamo inglobati in una di dipendenza orale in cui l'unica cosa che si fa quando ci si limita del diritto inalienabile della libertà personale è cucinare e mangiare compulsivamente, quasi come a dover riempiere un vuoto, un vuoto che sta nascendo dalla consapevolezza. La consapevolezza di ciò che abbiamo protratto per troppo senza meta e senza senso.

Ci chiediamo noi giovani cosa sia la libertà, che cosa significhi poterlo essere ma soprattutto se lo siamo sul serio. Libertà significa assumersi una responsabilità e avere, come lo stesso Benasayang ha esortato e come abbiamo visto, una buona dose dicoraggio. Ma è necessario davvero essere completamente fuori al sistema per liberarsi? Oppure si può trovare il modo di non essere strumentalizzati, ma di strumentalizzare noi lo strumento. 

L'opportunità di una nuova consapevolezza, di una rinascita di un nuovo inizio. Ad esempio oggi strumentalizzando noi la tecnologia, attraverso essa possiamo incontrarci e riflettere e quindi il pensiero come massima forma di espressione, il pensiero come massima forma di responsabilità e come massima espressione di libertà. La libertà di pensiero è già libertà! Noi oggi incontrandoci e riflettendo, pensando tutti insieme siamo persone libere. 

Leitmotiv del nostro discorso è Benasayang che in"L'epoca delle passioni tristi"  afferma: "La nostra società è la prima che, possedendo delle tecniche, ne è anche, al tempo stesso, posseduta."Dello stesso parere è Fromm in "Essere e Avere" (1976) parla di "to be and to have" essere o avere; l'essere collegato alla biofilità e alla libertà decisionale dell'uomo e l'avere, collegato invece alla necrofilia. 

L'uomo più è libero, più produce perché produce in libertà come lo stesso Fromm afferma e l'uomo di oggi sopravvive con un'angoscia mortifera che lo assale quando si trova obbligatoriamente a fermarsi come in una circostanza del genere, ed evitando completamente la ricerca del proprio essere nel restante tempo. L'epidemia ha quindi generato un crollo non solo dell'avere, ma dell'essere e la responsabilità è ad oggi una responsabilità collettiva che pone tutti, finalmente aggiungiamo, in una posizione di simmetria. Divenendo io agente responsabile primario dovrei necessitare di maggiore consapevolezza del mio stesso agire.

Benasayang, ancora una volta spunto della nostra riflessione, afferma:" i legami non sono limiti, ma ciò che conferisce potenza alla mia libertà e al mio essere. La mia libertà dunque non è ciò che finisce laddove comincia quella dell'altro, ma anzi comincia dalla liberazione dell'altro (...)" è proprio "l'imprevisto che trasforma", necessitiamo di una "nuova società fondata sull'essere e liberata dalle categorie dell'avere " afferma Fromm, trovando l'anello di congiunzione che lega l'individuo alla società e che nella storia non è stato affrontato. 

In Marx e Freud ad esempio Fromm mette in evidenza come sia il capitalismo e sia la psicoanalisi hanno fallito non trovando la congiunzione di una visione si indivualista, ma anche collettiva, dove il singolo insieme ai suoi simili può effettivamente fare la differenza superando una logica di potere e di preminenza sull'altro. La potenza distruttiva di questa epidemia si trasmette nell'inconscio collettivo delle persone (facendo riferimento anche a Jung) andando a danneggiare l'equilibrio fisiologico di omeostasi dell'organismo che sotto profondo panico e angoscia tende a cadere in una dimensione depressiva. 

Quest'ultima tende ad avere un impatto fisico, abbassando le difese immunitarie e l'istinto di attacco - fuga e rendendo l'uomo schiavo delle maree. L'impatto psicologico risultante ne è il completo disinvestimento emotivo dell'uomo sul suo agire. L'inconscio collettivo infatti, secondo Jung rappresenta un contenitore psichico universale dove ad esempio si può trovare l'archetipo della paura incistata in ogni essere umano. L'uomo diviene un animale in gabbia e la libertà si fotte!

E' proprio in questo momento che abbiamo bisogno di speranze, abbiamo bisogno di sogni che possano avere una buona probabilità di realizzarsi, abbiamo bisogno di credere e di restare, dobbiamo rimanere e lottare con gli strumenti forniti da un illuminante intelletto, da una fervida immaginazione, da un'entusiasmante desiderio e da un equilibrato sentimento di protezione verso noi stessi. 

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