La violenza sulle donne: non è la penetrazione il problema

12.07.2022

Siamo la somma di tutti gli sguardi che incontriamo dal primo momento in cui siamo nati, siamo la somma di tutte le emozioni che proviamo sin da quando sentiamo qualcosa muoversi nel pancino. Siamo la somma anche dei nostri traumi che inesorabilmente ed inevitabilmente persistono nella vita di ogni essere umano e molti dei quali anche necessari nello sviluppo per poter comprendere, per poter progredire, per poter andare incontro ad un'ulteriore fase evolutiva. Siamo anche la somma di quei traumi non prevedibili, di tragedie in cui la natura si scaglia irruenta contro l'essere umano, sino ad allora onnipotente nel suo mondo e scoperto granello di sabbia dinanzi alla potenza della natura, l'uomo si inginocchia. Ma mi preme sottolineare, come molti altri traumi siano dovuti alla violenza e quindi alla predominanza di un uomo su un suo stesso simile, talvolta anche indifeso, inerme e incapace di proferire dissenso. Su questo dobbiamo riflettere, su questo dobbiamo lottare, perché questo trama è non solo prevedibile, ma è evitabile. Dobbiamo lavorare non nell'estirpare le disuguaglianze, ma come permetterne l'integrazione, la cooperazione, l'accettazione. Così recita la professione di fese di Weil nella Dichiarazione universali dei Diritti Umani: "Nel mezzo di queste disuguaglianze, il rispetto può essere costante solo se si rivolge a qualcosa che è identico in tutti gli uomini. [...] Tutti gli esseri umani sono assolutamente identici nella misura in cui possono essere considerati costituti di un'esigenza fondante di bene, intorno alla quale è disposta la materia psichica e carnale.[ ...] la vita dell'uomo può essere distrutta o mutilata da una ferita o da una privazione dell'anima e del corpo: non è solo la sua parte sensibile a ricevere il colpo, ma anche l'aspirazione al bene. Si tratta di un sacrilegio verso ciò che nell'uomo c'è di più sacro."

Nel lavoro con il trauma, la cura psicoanalitica e la sfida psicotraumatologica consiste nel ridare al soggetto la libertà, il trauma ci defrauda del sentimento di essere padroni di noi stessi, ci toglie irrimediabilmente dalle mani le briglie del controllo della nostra esistenza, esente da un tempo vissuto legato al tempo passato, il percorso psicoterapeutico è un tentativo di restituire il soggetto a sé stesso. Porre domande con delicatezza, far notare con calma e dolcezza quando ci si sta incistando o bloccando, riportarlo gradualmente sul nucleo tematico ed emotivo, sono le caratteristiche fondamentali del lavoro con persone con traumatizzazioni importanti. È necessario ricordare come l'uno è la collettività, come negli occhi della vittima traumatizzata ci sia l'intero sguardo della società che senza alcun dubbio ha il proprio punto di vista, collettività oramai sempre pronta a dar alito a conformismi deleteri talvolta; "I giovani commettono violenza in strada, i no più giovani al chiuso, nei luoghi appartati, dove tramano, prevaricano, danno ordini che conducono alla vendetta. La violenza segreta non è meno perniciosa di quella plateale" (Albinati, 2016).

Come abbiamo sino ad ora esplicitato la qualità della relazione ha un ruolo centrale nella terapia con donne vittime di violenza. Sono necessari estremo tatto, delicatezza ed empatia e massima cautela riguardo al timing affinché al terapeuta sia concessa la possibilità di mettere in atto la funzione regolatoria per la reintegrazione degli affetti dissociati e disorganizzati, permettendo alla paziente di padroneggiare le proprie emozioni dopo aver ricostruito narrativamente il senso intrapsichico dell'accaduto traumatico. Lo sguardo verso la sola genesi immobilizza, non potendo offrire nuove opportunità di ricostruzione. Tutto il percorso vede il terapeuta nella condizione di mantenere sotto controllo l'arousal del paziente evitando dove possibile anche fenomeni di kindling, tenere la donna al sicuro in questo caso è il principale obiettivo, antecedente a tutti gli altri strumenti. Come già visto in precedenza, dal punto di vista neurobiologico la psicoterapia sembrerebbe modificare i circuiti nervosi, promuovendo una diversa e più complessa e integrata funzione delle varie aree e funzioni neurocerebrali. Siamo un unico grande, complesso, immenso sistema funzionale e fusionale, in cui mente, cuore ed anima viaggiano all'unisono; non possiamo curare uno senza prendere in considerazione l'altro. Questa prospettiva converge verso una visione del trattamento inteso come processo che facilita la riparazione e l'integrazione di aspetti dell'esperienza di sé, precedentemente frammentati o distaccati, che spesso fanno sentire la loro presenza in interazioni e il cui significato non è esplicito o viene negato.

Quando la violenza rende arida l'esistenza non resta che procurarsi un fertilizzante che sia in grado di rivitalizzare il terreno. Nessun trauma può essere cancellato, nessuna violenza può essere accettata, ma è possibile uscire una volta per tutte dal ruolo di vittima e permettere all'animo di riconoscersi, si come sopravvissuta, ma come lottatrice, come vincitrice. Il viaggio è lungo e mette in gioco esistenze già strutturate, elementi già cristallizzati talvolta o incistati sin dai primi esordi esperienziali, ma non è un viaggio impossibile, è però senz'altro un viaggio doloro, per la vittima e anche per il clinico che decide di affrontarlo. 

Riconoscere di essere dinanzi ad una donna il cui vissuto è leso irrimediabilmente mette il clinico in una posizione di profonda impotenza e frustrazione, il cui scoraggiamento, umano s'intente, necessita di una riflessione e di un impegno maggiore per avere la forza di poter rappresentare l'eccezione relazionale che possa permettere alla vittima di ritornare nel mondo. Il processo di significazione traumatica descritto in precedenza, si agevola del sottofondo empatico generato dall'incontro, dall'amalgamazione di impasti di parole che solo successivamente alla loro espressione primigenia, evocano un senso ultimo, la richiesta di aiuto, nonché il profondo grido del tentativo di risaldare le parti della sua identità, la propria ipseità. Riconoscere il potenziale dell'Altro e la ricchezza di senso offerta dall'esperienza (per quanto aberrante sia ) promuove una sintonizzazione (attunement) con il vissuto (Erlebnisse) della persona e alla modalità in cui esperiva il mondo prima dell'accaduto, e di come lo esperiesce nell'hic et nunc.

In tal senso la psicoterapia fenomenologica, poggiando sulla fenomenologia intesa come scienza dei fenomeni vissuti che si danno con evidenza alla coscienza, cerca di cogliere il senso delle esperienze vissute rimettendo in campo la coscienza del paziente nei suoi vari gradi di consapevolezza, nelle sue declinazioni e possibilità, ripartendo dal dato vissuto intersoggettivo. Non esiste psicoterapia valida che non si avvalga della prospettiva fenomenologica come prospettiva umana.

Ci sono violenze che nemmeno osiamo immaginare nei sogni più spietati, eppure qualcuno in giro per il mondo sostiene di averli attuati come se fosse andato al mare a fare un bagno. Accettare questo assioma rende più saggio intraprendere questo percorso, affinché non ci sia uno spreco superfluo di energie nel domandarsi " ma com'è possibile". È terminato il tempo in cui potersi permettere di rimanere scioccati, abbiamo superato quello in cui siamo rimasti indignati. Adesso è il momento del cambiamento.

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